ISRAELE
IL POPOLO ELETTO


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Note

I

Il Messia, figlio di David

Il Messia è discendente di David. È forse l’unica cosa in cui giudaismo e cristianesimo sono d’accordo a riguardo del Messia. Tuttavia, sussiste il problema sul modo di stabilire questa discendenza. Secondo la Torah, dev’essere solo per linea paterna. Anche se nel giudaismo ortodosso attuale è la madre chi determina se i figli sono giudei, perché un grembo giudeo non può partorire un gentile, questo tuttavia non determina l’eredità. L’eredità è sempre, esclusivamente, per linea paterna –perché inoltre, la donna passa ad appatenere alla casa di suo marito, e non viceversa–. Rivkah (Rebecca) era della casa di Nachor, ma suo figlio Yakov appartenne alla casa d’Avraham e non alla casa di Nachor. Le mogli di Yakov –Lea e Rachel– erano anch’esse della casa di Nachor, figlie del fratello di Rivkah, ma i dodici figli di Yakov erano “discendenza di Avraham”, non di Nachor (da cui avevano ricevuto ¾, mentre da Avraham solo ¼). In tutto il TaNaKh, le genealogie nominano solamente la linea paterna. La successione reale di Israele e di Yehuda era esclusivamente per via maschile e non si prese mai in considerazione chi fosse la madre del re ai fini di determinare eredi al trono, ma soltanto chi era el padre. Nessun titolo, né rango, si eredita per linea materna. Così fu profetizzato, che il Messia sarebbe discendente di David, ed erede del suo trono, per linea paterna. E non solo di David, ma anche di Salomone:

2Samuel 7:14 Io sarò per lui un padre ed egli mi sarà figlio; e, se fa del male, lo castigherò con bastoni da uomini e con colpi da figli di uomini, 15 ma la mia grazia non si ritirerà da lui, come si è ritirata da Saul, che io ho rimosso davanti a te. 16 La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a te e il tuo trono sarà reso stabile per sempre.

1Cronache 17:11 Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu te n’andrai a raggiungere i tuoi padri, io innalzerò al trono dopo di te la tua discendenza, uno dei tuoi figli, e stabilirò saldamente il suo regno. 12 Egli mi costruirà una casa, e io renderò stabile il suo trono per sempre. 13 Io sarò per lui un padre, ed egli mi sarà figlio; e non gli ritirerò la mia grazia, come l’ho ritirata da colui che ti ha preceduto. 14 Io lo renderò saldo per sempre nella mia casa e nel mio regno, e il suo trono sarà reso stabile per sempre.

1Cronache 22:9 Ma ecco, ti nascerà un figlio, che sarà uomo di pace, e io gli darò tranquillità, liberandolo da tutti i suoi nemici circostanti. Salomone sarà il suo nome; io concederò pace e tranquillità a Israele durante la vita di lui. 10 Egli costruirà una casa al mio nome; egli mi sarà figlio, e io gli sarò padre; e renderò stabile il trono del suo regno sopra Israele per sempre.

1Cronache 28:4 L’Eterno, Elohim d’Israele, ha scelto me, in tutta la casa di mio padre, perché io fossi re d’Israele per sempre; poiché egli ha scelto Yehuda come principe; e, nella casa di Yehuda, la casa di mio padre; e tra i figli di mio padre gli è piaciuto di far me re di tutto Israele; 5 e fra tutti i miei figli, poiché l’Eterno mi ha dato molti figli, egli ha scelto mio figlio Salomone, perché sieda sul trono dell’Eterno, che regna sopra Israele. 6 Egli mi ha detto: “Salomone, tuo figlio, sarà colui che costruirà la mia casa e i miei cortili; poiché io l’ho scelto come figlio, e io gli sarò padre. 7 Stabilirò saldamente il suo regno per sempre, se egli sarà perseverante nella pratica dei miei comandamenti e dei miei precetti, com’è oggi”.


È assolutamente chiaro che a Salomone è stato confermato il trono di David “per sempre”. Salomone sarebbe colui che “costruirà una casa al nome dell’Eterno”, e questo non si riferisce solo al Tempio, ma ad una promessa molto più grande. Indubbiamente, il Messia dev’essere un discendente di David e Salomone, per via PATRILINEARE.
Negli Evangeli di Matteo e Luca si presentano due genealogie diverse, di cui quella di Luca, anche se è più corretta nel rispetto dei parametri ebraici, non qualificherebbe perché non segue la linea di Salomone, ma di Nathan, un altro figlio di David e perché presumibilmente sarebbe la genealogia di Miryam e non di Yosef.

Ciononostante, il problema più grande non è la precisione delle genealogie, bensì un altro:

Matteo 1:18 La nascita di Yeshua Messia avvenne in questo modo. Miryam, sua madre, era stata promessa sposa a Yosef e, prima che fossero venuti a stare insieme, si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. 19 Yosef, suo marito, che era uomo giusto e non voleva esporla a infamia, si propose di lasciarla segretamente. 20 Ma mentre aveva queste cose nell’animo, un angelo del Signore gli apparve in sogno, dicendo: “Yosef, figlio di David, non temere di prendere con te Miryam, tua moglie; perché ciò che in lei è generato, viene dallo Spirito Santo”.

Luca 1:34 Miryam disse all’angelo: “Come avverrà questo, dal momento che non conosco uomo?” 35 L’angelo le rispose: “Lo Spirito Santo verrà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà dell’ombra sua; perciò, anche colui che nascerà sarà chiamato Santo, Figlio di Elohim.


Di chi era il figlio Yeshua per via patrilineare? Era il figlio di Yosef, o non lo era? Se non non lo era, nemmeno potrebbe essere il Messia!

Prima di continuare con questo studio, è necessario chiarire alcuni concetti:
• Noi crediamo in Yeshua come Messia d’Israele, ma non crediamo nei dogmi del cristianesimo, che non hanno alcun fondamento scritturale. Noi crediamo nel Messia che ci presentano le Scritture.
• Noi crediamo che non ci riguarda minimamente se è nato come ogni essere umano e non in modo soprannaturale. Ciò non diminuisce la sua qualità di Messia, né altera il suo ministero. Per il contrario, li conferma.

Le discrepanze tra i racconti di Matteo e Luca sulla nascita, di cui si è parlato in questo studio, dimostrano che si tratta di tradizioni sorte posteriormente che sono state poi aggiunte al racconto originale.
Inoltre vi è una forte evidenza che l’Evangelo di Matteo non conteneva i capitoli 1 e 2 attuali perché era l’unico Evangelo accettato dagli ebioniti, ed essi non credevano nella nascita verginale (né nessuno dei nazareni, perché quell’idea fu introdotta dai gentili). Di questo rendono testimonianza anche Eusebio, Papia (che è riuscito a leggere l’Evangelo di Matteo originale e commentarlo) ed altri storici.
Detto questo, torniamo a considerare i racconti degli Evangeli che abbiamo ora come “ufficiali”. Se riteniamo valida la genealogia presentata da Matteo, che cosa impedirebbe che Yeshua sia il Messia se Yosef fosse stato il padre carnale? Nulla. E cosa impedirebbe che Yeshua sia il Messia, se Yosef non fosse stato il padre carnale, né alcun altro uomo? Lo impedirebbe che in questo modo non sarebbe figlio di David!

In primo luogo definiamo il concetto di verginità femminile nel giudaismo, dal momento che gli evangelisti erano Ebrei ed è necessario capire ciò che essi hanno trasmesso secondo il loro pensiero in quanto Giudei. Il giudaismo antico non ha obiezioni alla possibilità che possa prodursi una nascita da una vergine (e neanche il giudaismo attuale, ma a causa del cristianesimo è ormai difficile da riconoscere). Un tale avvenimento sarebbe considerato un miracolo, che è ammesso nella fede giudaica. Fin qui non vi è conflitto, sarebbe accettabile per un giudeo ammettere che Miryam abbia concepito essendo vergine. Il problema è che un uomo nato in questo modo non avrebbe un padre, e quindi non avrebbe alcuna eredità. Sarebbe simile al figlio di un proselito e di una donna ebrea, che non appartiene né alla Tribù né alla casa del padre di sua madre, ma è un Israelita senza Tribù. Nel caso di Yeshua, non potrebbe essere considerato figlio di Davide, né erede al trono di Davide (in quel tempo ci sarebbero molti altri discendenti diretti di Salomone con tale diritto).
Quindi, è lo stesso cristianesimo con la sua teologia della nascita verginale che squalifica Yeshua come Messia.

Allora dobbiamo chiederci se l’autore dei primi due capitoli di Matteo non sapeva queste cose: Se era un Giudeo senz’altro le sapeva, se invece era Greco, probabilmente no. Supponendo che sia stato un Giudeo, approfondiamo un po’ sul concetto di verginità femminile nel giudaismo.

C’è un’altra interpretazione, che è mistica, e si riferisce alla verginità come stato spirituale. Questo è il caso di Rivkah, moglie di Yitzhak e madre di Yakov ed Esaù, la quale è considerata perennemente vergine. Logicamente, questo stato di verginità non ha alcuna relazione con la realtà fisica, ma appartiene alla sfera spirituale della persona.
Potremmo dunque considerare che lo scrittore usa in questo caso un linguaggio mistico, assumendo che il suo pubblico avrebbe capito, così come l’uso metaforico di una profezia che non ha alcuna relazione con l’evento in sé, ma è citata a scopo puramente illustrativo. Tuttavia, altri dettagli del racconto scartano questa opzione.

Dopo aver presentato una genealogia che accredita Yeshua come discendente di David, non ha senso che lo stesso autore la squalifichi, affermando che in realtà non era figlio di Yosef. Pertanto, se c’è una parte dei capitoli 1 e 2 di Matteo che appartiene al testo originale, questa sarebbe solo la genealogia (1:1-17), che può, nonostante alcune omissioni, essere considerata accettabile. Il rimanente (da 1:18 a 2:23) è sicuramente un’aggiunta posteriore fatta alla traduzione greca, che non solo pone enfasi sulla nascita verginale ma anche presenta discrepanze cronologiche, la storia dei Magi e la fuga in Egitto –un altro particolare che non concorda con il concetto di sacrificio espiatorio– (vedi: Aqedat Yitzhak).

Yohanan 3:6 Quello che è nato dalla carne, è carne; e quello che è nato dallo Spirito, è spirito.

Non può lo Spirito generare carne. L’idea della nascita verginale proviene dal paganesimo e da una delle tante false credenze che ha sviluppato il cristianesimo, che è quella del peccato originale, un concetto che non si trova nella Bibbia né ha fondamento scritturale. In molte tradizioni dei gentili, tra cui i Greci, gli dèi si univano a donne vergini per generare semidèi.
Dunque, i cristiani devono decidere se accettare che Yosef era in realtà suo padre carnale, e così Yeshua sarebbe figlio di David ed il Messia, oppure se Yosef non era il padre carnale, né altro discendente diretto di David, Yeshua no potrebbe essere il Messia.

Per quanto riguarda la speranza dei Giudei che il Messia deve venire, non c’è modo di verificare che qualcuno sia un discendente diretto di Davide per via patrilineare senza interruzioni.


II

Il “Figlio” nel TaNaKh

In questa nota trattiamo solo esegesi e non teologia, e ci riferiamo allo studio delle Scritture nel testo originale, prendendo in considerazione non solo le parole, ma anche il contesto, in modo da avere una visione equilibrata ed imparziale di ciò che leggiamo. Abbiamo visto che in molti casi le traduzioni sono inesatte, in parte a causa della predisposizione dei traduttori per favorire un’interpretazione piuttosto che un’altra sulla base delle proprie convinzioni teologiche, come nel caso di questo tema, il “Figlio” di Elohim nel TaNaKh –che non è “Elohim Figlio”, secondo il testo– la sua identità, ed anche come il primogenito. Al di là di ciò che ogni persona può credere al riguardo, qui ci limitiamo a ciò che è scritto.

Prima di entrare in questo argomento, è necessario considerare le lingue in cui è stato scritto il TaNaKh, ed i periodi che corrispondono a queste. La lingua principale è senza dubbio l’ebraico, e solo in un tardo periodo, vale a dire dall’esilio in Babilonia in poi, si sono aggiunti termini in aramaico. La prima parola in aramaico che si trova nel testo originale della Bibbia è in Genesi 31:47, “Yegar-sahadutha”, perché è il nome che diede Laban l’Arameo al luogo dove stabilì un patto con Yakov, il quale diede al posto lo stesso nome in ebraico, “Gal’ed”e costituisce quindi un’eccezione nel testo della Torah, essendo un riferimento ad un nome proprio dato da uno straniero (come nel caso di Yosef, al quale viene dato un nome egizio, e nel testo si cita la parola in lingua egizia). Questi sono casi particolari che giustificano l’introduzione di una parola in un’altra lingua all’interno del testo ebraico, nello stesso modo in cui in un testo in italiano citeremmo una città degli Stati Uniti o di una persona di quel paese dal proprio nome in inglese e non lo tradurremmo.
l secondo caso in cui troviamo l’aramaico in un testo ebraico prima dell’esilio di Yehuda è in Geremia 10:11 perché parla degli dèi pagani, ed usa il termine “dèi” in aramaico (elaha) in modo di non confonderli con “Elohim”, che sarebbe la stessa parola in ebraico, ed utilizza il verbo al plurale (“hanno fatto” e “scompariranno”). Qui l’uso dell’aramaico si giustifica anche ai fini di sottolineare che questi “dèi” non sono Elohim. Oltre a questo, è anche dovuto a che il messaggio è diretto alla Casa di Israele (1:1), che era già in esilio in Assiria.
Gli altri testi aramaici si trovano negli Scritti (Ketuvim), dal periodo dell’esilio in Babilonia in poi. Questi sono:
• Daniel, dalla seconda parte di 2:4, quando il testo ebraico che inizia il libro si conclude con la frase “Allora i Caldei risposero al re in aramaico:” ed infatti, da quel momento, testo continua in aramaico, iniziando con la frase “O re, possa tu vivere per sempre! Racconta il sogno ai tuoi servi e noi ne daremo l’interpretazione”, e continua in aramaico fino alla fine del capitolo 7, vale a dire, fino a 7:28. Poi il resto del libro prosegue di nuovo in ebraico.
• Ezra, in due brani: 4:8–6:18 y 7:12–26, in entrambi casi sono citazioni testuali da lettere inviate dai ministri Persiani al re e del re di Persia ai governatori, per cui sono state scritte nella lingua ufficiale dell’impero. Oltre a questi passaggi, non ci sono parole in aramaico del TaNaKh, eccetto dei nomi propri.

Questo chiarimento sulle lingue è necessario per non confondere parole che esistono in ebraico e aramaico che sono morfologicamente identiche, ma hanno significati diversi, come accade anche in altre lingue dello stesso gruppo – per esempio, l’italiano e lo spagnolo, hanno dei termini simili con significati diversi, e sarebbe assurdo interpretare una parola in spagnolo all’interno di un testo in italiano e viceversa. Se per esempio in un testo in spagnolo troviamo la parola “piano”, sappiamo che si tratta di uno strumento musicale, il pianoforte, e non l’interpreteremo come l’aggettivo adagio, oppure come una mappa, o come il piano di un edificio, che è ciò che la stessa parola può significare in italiano (oltre allo strumento musicale).

Ora, per la parola “figlio” c’è un equivalente in ebraico, che è “ben”, ed un altro in aramaico, che è “bar”. La parola “bar” è anche una parola ebraica, ma ha un significato completamente diverso dalla stessa parola in aramaico. Vediamo prima quando nel TaNaKh HaShem parla di suo figlio, a chi si riferisce e quale termine usa:

Esodo 4:22 Tu dirai al faraone: “Così dice l’Eterno: Israele è mio figlio [ben], il mio primogenito, 23 e io ti dico: Lascia andare mio figlio [ben], perché mi serva; se tu rifiuti di lasciarlo andare, ecco, io ucciderò tuo figlio [ben], il tuo primogenito”.
Osea 11:1 Quando Israele era fanciullo, io lo amai e chiamai mio figlio [ben] fuori d’Egitto.
Geremia 31:9 Perché io sono un padre per Israele, ed Efraim è il mio primogenito.

Questi sono gli unici passaggi, inoltre a quello che vedremo in seguito, in cui Elohim parla di “Suo figlio” e del “Suo primogenito”, ed in tutti i casi si riferisce al popolo di Israele. Anche in tutti i casi viene usata la parola ebraica “ben”.

Nel Libro di Daniel, come si è detto, il tratto compreso tra 2:4b e 7:28 è scritto in aramaico, mentre il resto del libro, vale a dire da 1:1 a 2:4a e da 8:1 fino alla fine, in ebraico. Coerentemente con questa divisione linguistica, troviamo l’espressione “figlio dell’uomo” nelle due sezioni: in 7:13 è “bar enash”, in quanto corrisponde al contesto in aramaico, mentre in 8:17 è “ben adam”, perché il contesto è in ebraico. Anche in 10:16, al plurale, è “b’ney adam”, perché è scritto nella sezione in lingua ebraica. Cioè, anche in un libro in cui vengono utilizzate entrambe le lingue, ogni parola è nella lingua del proprio contesto e non si mischiano termini da una lingua nel contesto dell’altra.

Per quanto riguarda la parola “bar” in ebraico, la si trova alcune volte, con i seguenti significati:
• “bar” è grano, frumento: Genesi 41:35; 41:49; 42:3; 42:25; 45:23; Salmi 65:13; 72:16; Proverbi 11:26; Gioele 2:24; Amos 5:11; 8:5-6.
• “bar” è pulito, puro, amabile, la purezza, in Proverbi 14:4.
Oltre a questi brani citati sopra, troviamo anche due parole, “ben” e “bar” nel Salmo 2, ovviamente, con significati diversi. Ed è in questo Salmo dove i traduttori hanno arbitrariamente usato il significato aramaico per una parola in un testo interamente in ebraico. Qui presento una traduzione letterale del Salmo 2:

Salmo 2:1 Perché tumultuano le nazioni [goyim], e i popoli [le'umim] tramano cose vane? 2 I re della terra si ritrovano e i principi si consigliano insieme contro l’Eterno e contro il suo Unto [mashiach]: 3 dicendo: «Rompiamo i loro legami e sbarazziamoci delle loro funi». 4 Colui che siede nei cieli riderà, il Signore si farà beffe di loro. 5 Allora parlerà loro nella sua ira, e nel suo grande sdegno li spaventerà, 6 e dirà: «Ho insediato il mio re sopra Sion, il mio santo monte. 7 Dichiarerò il decreto dell’Eterno. Egli mi ha detto: "Tu sei mio figlio [ben], oggi io ti ho generato. 8 Chiedimi, e io ti darò le nazioni come tua eredità e le estremità della terra per tua possessione. 9 Tu le spezzerai con uno scettro di ferro, le frantumerai come un vaso d'argilla"». 10 Ora dunque, o re, siate savi; accettate la correzione, o giudici della terra. 11 Servite l’Eterno con timore e gioite con tremore. 12 Rendete omaggio nella purezza [bar], che talora l’Eterno non si adiri e voi non periate nella vostra via, perché la sua ira può accendersi in un momento. Beati tutti coloro che si rifugiano in lui.

Troviamo in questo salmo il termine “unto”, che è “mashiach” (messia) e che non è oggetto di questo studio, solo rammentiamo che è il titolo solitamente utilizzato per il re di Yehuda o di Israele (1Samuel 2:35; 12:3,5; 16:6; 24:6,10; 26:9,11,16,23; 2Samuel 1:14,16; 19:21; 22:51; 23:1; Salmi 132:10,17; etc.) ed è anche utilizzato per un re Gentile (Isaia 45:1), e sarebbe interessante approfondire in un altro momento a chi fa riferimento in questo Salmo.
Dal contesto è chiaro che si tratta di un salmo rivolto ai gentili (goyim e le’umim), ai quali ammonisce di rinunciare alle loro intenzioni di distruggere Israele per non provocare l’ira dell’Eterno. Perché, rammentiamo, HaShem è il Padre di Israele, e Israele è il suo figlio.
Nella prima parte (1-3) espone le cospirazioni dei re gentili, che si accordano insieme contro l’Elohim d’Israele e contro il Suo unto. Nella seconda parte (4-6) l’Eterno li deride, ed insegna loro che Egli ha stabilito la sua sovranità sul Monte Sion, cioè Gerusalemme. Nella terza parte (7-12) è il Figlio che parla –e sappiamo che è Israele che ha questo titolo nel TaNaKh– dicendo prima che l’Eterno l’ha generato e gli ha promesso di regnare su tutte le nazioni, e poi consiglia ai re della Terra di servire HaShem affinché che Egli non si adiri e non li distrugga.

Benché il significato del Salmo è molto chiaro e la sua esegesi non dovrebbe presentare alcuna difficoltà, molti traduttori hanno lasciato perdere ogni regola esegetica e logica, forzando la traduzione in base alla parola “bar” che si trova nell’ultimo passaggio del Salmo . Infatti, nel versetto 12, il testo ebraico dice: “nashqu-bar” (נשׁקו־בר), entrambi i termini uniti da un trattino, indicando che “bar” non è un oggetto diretto del verbo, ma fa parte di esso. Letteralmente, “nashqu” in isolamento significa “baciate”, ma in questo caso è unito a “bar”, che è “purezza”, che dà un senso ancora più profondo al verbo, come “rendete onore”, “onorate con purezza di cuore”. Non c’è la parola “figlio” in questo verso. Il termine è ebraico, come tutto il Salmo, ed è collegato a un verbo ebraico modificandolo, non è l’oggetto dell’azione verbale, anzi, modifica l’azione verbale.

Ciononostante, qualcuno potrebbe obiettare che “bar” si trova anche nel TeNaKh con il significato di “figlio” ed in paragrafi scritti in ebraico. È vero, quindi vedremo quali occasioni ciò accade:
• In Ezra 5:1,2 “Zecharyah bar-Iddo”, “Zerubavel bar-Shealthiel”, y 6:14 “Zecharyah bar-Iddo”. Come si può capire, si tratta di nomi propri di Giudei nati in Babilonia e quindi con nomi caldei (aramei), e in questo caso “bar” è parte del patronimico, come attualmente un Ebreo russo il cui padre si chiama Avram userà come secondo nome Avramovich, o se il padre è Aaron il suo secondo nome sarà Aaronovich, così nel caso dei Giudei di Babilonia, il prefisso “bar-” corrisponde al suffisso “-ovich” degli Ebrei russi.
• In Proverbi 31:2 “figlio mio” (bari), “figlio del mio grembo” (bar-betni), “figlio dei miei desideri” (bar-nedri). Quest’ultimo capitolo dei Proverbi appartiene al periodo post-esilico, giacché i Proverbi scritti da Salomone coprono i capitoli 1-24, poi altri proverbi di Salomone sono stati raccolti in tempi di Hizkiyahu, re di Yehuda (25:1), poi si sono aggiunti quelli di Agur, nel capitolo 30, ed infine questi, il capitolo 31, evidentemente dopo il regno di Ezechia e nel periodo in cui l’aramaico inizia a introdursi nel linguaggio degli Israeliti. Tuttavia, anche qui troviamo “bar” come complemento e non in isolamento: in tutti i casi, sia in Ezra che in Proverbi, “bar” non può essere tradotto semplicemente come “figlio”, ma come “figlio di”.
Pertanto, tradurre “bar” come “figlio” nel Salmo 2:12 è improprio e contrario ad ogni regola linguistica, oltre ad essere anacronistico e decontestualizzato. Perché “bar” nel testo del Salmo possa essere oggetto del verbo, sarebbe necessario aggiungere la preposizione “et” (את), vale a dire, “a”, e l’articolo “ha” (ה) tra il verbo e l’oggetto diretto. Assolutamente, per tradurre “baciate il figlio” dovrebbe dire “nashqu et ha-ben”, e mai “nashqu-bar”, com’è scritto.

Questa è l’esegesi del testo ebraico del Salmo 2. Ovviamente, la teologia cristiana l’interpreta in modo diverso, sulla base di una traduzione errata fatta da traduttori cristiani, che in questo caso hann avuto poca precisione nella verificadel testo e con molta leggerezza hanno attribuito il significato aramaico ad una parola ebraica, ignorando regole grammaticali, decontestualizzandola e forzando una traduzione che non corrisponde.


III

Sono necessari i sacrifici per il perdono dei peccati?

Una delle dottrine del cristianesimo –con apparente fondamento biblico, che non è tale– è che Elohim solo può perdonare i peccati attraverso lo spargimento di sangue. Questa convinzione si basa praticamente in un solo verso:

Ebrei 9:22 Secondo la legge, quasi ogni cosa è purificata con sangue; e, senza spargimento di sangue, non c’è perdono.

Fondamentare una dottrina su un singolo versetto è insostenibile, ma anche se fosse valido per stabilire un tale assioma, il testo sopra citato non è sufficiente. In linea di principio, non dice che «ogni cosa» è purificata con il sangue, ma «quasi ogni cosa». Che vuol dire «quasi ogni cosa»? Si riferisce ai peccati, o anche ad altre cose?
Ovviamente, l’autore della Lettera agli Ebrei sapeva che i suoi destinatari conoscevano la materia di cui stava parlando, e non c’era bisogno di dare ulteriori spiegazioni. Il problema è dei gentili, che non conoscendo le norme relative ai sacrifici secondo la Legge, non sono in grado di interpretare ciò che l’autore della lettera sta dicendo. Proviamo ad analizzarla alla luce della Scrittura. L’autore parla di «quasi ogni cosa», ed in genere si riferisce a diverse cose che dovevano essere compiute nel Tempio –come la nascita di un bambino, per esempio (Luca 2:22-24), che non è un peccato– e tra queste cose ve ne sono alcune comprese in una certa categoria di peccati, quelli non intenzionali, e non altri. Tuttavia, come vedremo, questi peccati possono anche essere rimessi senza sacrificio di sangue.
Inoltre, lo stesso autore ci dice che la redenzione ottenuta attraverso lo spargimento di sangue non serve a molto:

Ebrei 10:26 Infatti, se persistiamo nel peccare volontariamente dopo aver ricevuto la conoscenza della verità, non rimane più alcun sacrificio per i peccati.

Vale a dire, che il sacrificio di sangue è insufficiente per tutti i peccati. Ora vediamo quello che la Legge ha stabilito, e come ed in quali circostanze si applica.

Levitico 17:5 Affinché i figli d’Israele, invece di offrire, come fanno, i loro sacrifici nei campi, li portino all’Eterno presentandoli al kohen, all’ingresso della tenda di convegno, e li offrano all’Eterno come sacrifici di riconoscenza.

“Shelamim”, sacrifici di riconoscenza, erano di lode, in adempimento di un voto o volontari; erano sacrifici d’alleanza, non di redenzione dei peccati.

Levitico 17:8 Di’ loro ancora: “Se un uomo della casa d’Israele, o uno degli stranieri che soggiornano in mezzo a loro, offrirà un olocausto o un sacrificio 9 e non lo porterà all’ingresso della tenda di convegno per offrirlo all’Eterno, quest’uomo sarà eliminato dal suo popolo. 10 Se un uomo della casa d’Israele, o uno degli stranieri che abitano in mezzo a loro mangia qualsiasi genere di sangue, io volgerò la mia faccia contro la persona che avrà mangiato del sangue, e la eliminerò dal mezzo del suo popolo. 11 Poiché la vita della carne è nel sangue. Per questo vi ho ordinato di porlo sull’altare per fare l’espiazione per le vostre persone; perché il sangue è quello che fa l’espiazione, per mezzo della vita. 12 Perciò ho detto ai figli d’Israele: ‘Nessuno tra voi mangerà del sangue; neppure lo straniero che abita fra voi mangerà del sangue’. 13 E se uno qualunque dei figli d’Israele o degli stranieri che abitano fra loro prende alla caccia un quadrupede o un uccello che si può mangiare, ne spargerà il sangue e lo coprirà di polvere; 14 perché la vita di ogni carne è il sangue; nel suo sangue sta la vita; perciò ho detto ai figli d’Israele: ‘Non mangerete il sangue di nessuna creatura, poiché la vita di ogni creatura è il suo sangue; chiunque ne mangerà sarà eliminato’”.

Questo passaggio parla specificamente del divieto di consumo di sangue, perché è destinato per i sacrifici, anche quelli d’espiazione, ma non spiega che tipo d’espiazione, né tanto meno che sia l’unico metodo d’espiazione.
Vediamo dunque per quale categoria di peccati i sacrifici servivano all’espiazione:

Levitico 4:2 Parla ai figli d’Israele e di’ loro: “Quando qualcuno avrà peccato per errore e avrà fatto qualcuna delle cose che l’Eterno ha vietato di fare, 3 se colui che ha peccato è il kohen che ha ricevuto l’unzione e in tal modo ha reso colpevole il popolo, egli offrirà all’Eterno, per il peccato commesso, un toro senza difetto, come sacrificio espiatorio”. 13 “Se tutta la comunità d’Israele ha peccato per errore, senza accorgersene, e ha fatto qualcuna delle cose che l’Eterno ha vietato di fare, rendendosi così colpevole, 14 quando il peccato che ha commesso viene conosciuto, la comunità offrirà, come sacrificio espiatorio, un toro, che condurrà davanti alla tenda di convegno”. 22 “Se uno dei capi ha peccato, facendo per errore qualcosa che l’Eterno suo Elohim ha vietato di fare e si è così reso colpevole, 23 quando gli sarà fatto conoscere il peccato che ha commesso, condurrà come sua offerta un capro, un maschio fra le capre, senza difetto”. 27 “Se qualcuno del popolo pecca per errore e fa qualcosa che l’Eterno ha vietato di fare, rendendosi colpevole, 28 quando gli sarà fatto conoscere il peccato che ha commesso, condurrà come sua offerta una capra, una femmina senza difetto, per il peccato che ha commesso. 32 Se questi invece porterà un agnello come suo sacrificio espiatorio, dovrà portare una femmina senza difetto”.

Numeri 15:24 Se il peccato è stato commesso per errore, senza che la comunità se ne accorgesse, tutta la comunità offrirà un toro come olocausto di profumo soave per l’Eterno, con la sua oblazione e la sua libazione secondo le norme stabilite, e un capro come sacrificio per il peccato. 25 Il kohen farà l’espiazione per tutta la comunità dei figli d’Israele, e sarà loro perdonato, perché è stato un peccato commesso per errore, ed essi hanno portato la loro offerta, un sacrificio consumato dal fuoco per l’Eterno, e il loro sacrificio per il peccato davanti all’Eterno, a causa del loro errore. 26 Sarà perdonato a tutta la comunità dei figli d’Israele e allo straniero che soggiorna in mezzo a loro, perché tutto il popolo ha peccato per errore. 27 Se è una persona sola che pecca per errore, offra una capra di un anno come sacrificio per il peccato. 28 Il kohen farà l’espiazione davanti all’Eterno per la persona che avrà mancato commettendo un peccato per errore; quando avrà fatto l’espiazione per essa, le sarà perdonato. 29 Avrete un’unica legge per colui che pecca per errore, sia che si tratti di un nativo del paese tra i figli d’Israele o di uno straniero che soggiorna in mezzo a voi. 30 Ma la persona che agisce con proposito deliberato, sia nativo del paese o straniero, oltraggia l’Eterno; quella persona sarà eliminata dal mezzo del suo popolo. 31 Siccome ha disprezzato la parola dell’Eterno e ha violato il suo comandamento, quella persona dovrà essere eliminata; porterà il peso della sua iniquità.

È chiaro che si riferisce solo ai peccati “per errore”. In ebraico dice“sh’gagah”, ovvero, “involontari”. Solo questo tipo di peccato era rimesso con sacrificio di sangue, nessun altro. E non era l’unico modo per espiarli:

Levitico 5:7 Se non ha mezzi per procurarsi una pecora, porterà all’Eterno, come sacrificio per la colpa, per il peccato che ha commesso, due tortore o due giovani piccioni: uno come sacrificio espiatorio, l’altro come olocausto. 11 Ma se non ha mezzi per procurarsi due tortore o due giovani piccioni, porterà, come sua offerta per il peccato che ha commesso, la decima parte di un efa di fior di farina, come sacrificio espiatorio, senza mettervi sopra né olio né incenso, perché è un sacrificio espiatorio. 12 Porterà la farina al kohen; il kohen ne prenderà una manciata piena come ricordo e la farà fumare sull’altare sopra i sacrifici consumati dal fuoco per l’Eterno. È un sacrificio espiatorio.

Nel caso in cui la persona non avesse la possibilità di offrire un sacrificio di sangue, questo poteva essere sostituito da uno vegetale. Quindi, lo spargimento di sangue non è essenziale per il perdono dei peccati!

In altre occasioni, erano accettabili anche offerte in metallo, ossia in denaro:

Numeri 31:50 Noi portiamo, come offerta all’Eterno, ciascuno gli oggetti d’oro che ha trovato: monili, braccialetti, anelli, pendenti, collane, per fare l’espiazione per le nostre persone davanti all’Eterno . 51 Mosè e il kohen Eleazar presero dalle loro mani tutto quell’oro in gioielli lavorati.

Quindi, il sacrificio di sangue era offerto solo per i peccati involontari (Levitico 4:2,13,22, 27; 5:15, 17,18; Numeri 15:24,27). Si offrivano anche per consacrare i kohanim (Esodo 29:1).

La Torah offre una varietà di possibilità per l’espiazione dei peccati, ma fondamentalmente essenziale è la “teshuvah” (pentimento) e la preghiera. Vedremo anche i passi biblici in supporto a questa affermazione, ma prima vediamo alcuni esempi di persone che non hanno offerto alcun sacrificio di sangue e sono stati perdonati:

• David

Re David non offrì alcun sacrificio per l’espiazione. Tutti i suoi olocausti erano sacrifici di riconoscenza. Nemmeno offrì sacrificio dopo il peccato con Betsheva e contro Uria.

2Samuel 12:13 E David disse a Nathan: “Ho peccato contro l’Eterno”. Nathan rispose a David: “l’Eterno ha perdonato il tuo peccato: tu non morirai”.

David non offrì sacrificio per il suo peccato, ma Elohim lo perdonò solo perché egli mostrò pentimento. Neanche c’era un sacrificio d’espiazione per l’adulterio, ma era un peccato punito con la morte (Levitico 20:10). Dopo questo, Davide scrisse il Salmo 51, che dice:

Salmo 51:16 Tu infatti non desideri sacrifici, altrimenti li offrirei, né gradisci olocausto. 17 Sacrificio gradito a Elohim è uno spirito afflitto; tu, Elohim, non disprezzi un cuore abbattuto e umiliato.

• Il Regno di Israele

Quando le tribù della Casa di Israele si separarono da Yehuda e formarono il Regno di Israele, gli Israeliti non salirono più a Gerusalemme e quindi l’intero sistema sacrificale del Tempio fu abolito per loro.

1Re 12:26 E Geroboam disse in cuor suo: “Ora il regno potrebbe benissimo tornare alla casa di Davide. 27 Se questo popolo sale a Gerusalemme per offrire sacrifici nella casa dell’Eterno, il suo cuore si volgerà verso il suo signore, verso Roboam re di Yehuda, mi uccideranno, e torneranno a Roboam re di Yehuda”.

Il culto stabilito nel Regno di Israele non era secondo la Torah, e tecnicamente era una nazione gentile ... ma non c’erano dei giusti in mezzo a loro? Non c’erano redenti in mezzo a loro? Sì, certamente, e molti, ache dei Profeti.

• Elia ed Eliseo

I due più grandi Profeti di Israele furono Elia ed Eliseo. Nessuno di loro ebbe mai fatto un solo sacrificio per il peccato, né salirono a Gerusalemme! L’unico sacrificio fatto da Profeta Elia non fu per l’espiazione (ed era anche vietato di farlo fuori dal Tempio), ma per dimostrare chi è YHVH, il vero Elohim (1Re 18:1-40). Come ha fatto Elia per essere portato in cielo, senza mai aver fatto un sacrificio di sangue per i suoi peccati? E come ha fatto Eliseo ad essere Profeta dell’Altissimo, senza espiare i suoi peccati per mezzo di sacrificio di sangue? Ovviamente, perché il sacrificio di sangue non è essenziale per il perdono dei peccati. Ed oltre a questi due grandi Profeti, ci sono stati altri giusti?

• I 7000 Israeliti

1Re 19:18 Ma io lascerò in Israele un residuo di settemila uomini, tutti quelli il cui ginocchio non s’è piegato davanti a Baal, e la cui bocca non l’ha baciato.

Elia pensava d’essere rimasto il solo giusto in tutto il Regno di Israele. Elohim gli fa sapere che c’erano altri 7000 giusti. Qual’era la loro giustizia? Che non s’erano piegati all’idolatria, ma continuavano ad adorare YHVH ... ma non facevano dei sacrifici, perché non andvano a Gerusalemme.

E c’erano ancora molti di più, questi 7000 solo in tempo d’Elia. Anche il Profeta Giona, che venne dopo, era d’Israele e quindi non andava a Gerusalemme per offrire sacrifici. Egli svolse un compito molto più importante.

• Gli abitanti di Ninive

Yona 3:5 I Niniviti credettero a Elohim, proclamarono un digiuno, e si vestirono di sacchi, tutti, dal più grande al più piccolo. 6 E poiché la notizia era giunta al re di Ninive, questi si alzò dal trono, si tolse il mantello di dosso, si coprì di sacco e si mise seduto sulla cenere. 7 Poi, per decreto del re e dei suoi grandi, fu reso noto in Ninive un ordine di questo tipo: “Uomini e animali, armenti e greggi, non assaggino nulla; non vadano al pascolo e non bevano acqua; 8 uomini e animali si coprano di sacco e gridino a Elohim con forza; ognuno si converta dalla sua malvagità e dalla violenza compiuta dalle sue mani. 9 Forse Elohim si ricrederà, si pentirà e spegnerà la sua ira ardente, così che noi non periamo”. 10 Elohim vide ciò che facevano, vide che si convertivano dalla loro malvagità, e si pentì del male che aveva minacciato di far loro; e non lo fece.

Qualcuno senza conoscenza ha detto che gli Assiri non hanno avuto bisogno di osservare la Torah per essere giustificati. Certo, erano gentili! Ma nemmeno ebbero bisogno di fare alcun sacrificio. E che cosa hanno fatto per essere perdonato? La stessa cosa che fa ogni Ebreo a Yom Kippur: pentimento, preghiera e digiuno, nient’altro! E HaShem li perdonò.
Questo è accaduto durante il regno di Adad-Nirari III. Gli Assiri avevano conoscenza delle leggi di Elohim, i loro codici di leggi avevano molta somiglianza con la Torah in quanto alla giustizia. Questa nazione ha ricevuto la promessa di restaurazione:

Isaia 19:23 In quel giorno, ci sarà una strada dall’Egitto in Assiria; gli Assiri andranno in Egitto, e gli Egizî in Assiria; gli Egizî serviranno l’Eterno con gli Assiri. 24 In quel giorno, Israele sarà terzo con l’Egitto e con l’Assiria, e tutti e tre saranno una benedizione in mezzo alla terra. 25 L’Eterno degli eserciti li benedirà, dicendo: “Benedetti siano l’Egitto, mio popolo, l’Assiria, opera delle mie mani, e Israele, mia eredità!”

Pur essendosi allontanati da Elohim ed avendo adottato pratiche di idolatria, non era questo il motivo per cui la nazione sarebbe stata distrutta, ma il loro peccato principale era la violenza. Assiria stava costruendo quello che più tardi divenne la macchina militare più formidabile e potente dell’Antichità, ma dopo la predicazione di Giona ci fu un periodo di moderazione –alcune fonti indicano che durante il regno di Adad-Nirari III ci fu un risveglio monoteista– e la folle corsa di conquista militare si fermò per mezzo secolo, fino a quando Tiglatpileser III tornò ad intraprendere l’espansione dell’Impero con grande successo ed iniziò le prime deportazioni di Israeliti in Assiria.

Dunque, sull’argomento che ci riguarda, non v’è stata alcuna necessità di sacrificio di sangue perché Elohim perdonasse un’intera nazione gentile, soltanto fu necessario quello che gli Assiri compirono, vale a dire:
- credettero ad Elohim
- digiunarono
- si vestirono di sacco in segnale di lutto
- si pentirono dalla loro malvagità
In breve, l’atteggiamento che ottenne la grazia fu la “teshuvah”, il ravvedimento, e non un sacrificio di sangue.

• I Giudei in Babilonia

I Giudei in Babilonia non potevano offrire nessun sacrificio perché non avevano più il Tempio e perché erano in esilio. Nell’esilio si sarebbero ricordati del loro Elohim e sarebbero ritornati a Lui, ed Egli li avrebbe perdonati, senza offrire alcun sacrificio.

Geremia 29:10 Poiché così parla l’Eterno: “Quando settant’anni saranno compiuti per Babilonia, io vi visiterò e manderò a effetto per voi la mia buona parola facendovi tornare in questo luogo. 11 Infatti io so i pensieri che medito per voi”, dice l’Eterno: “pensieri di pace e non di male, per darvi un avvenire e una speranza. 12 Voi m’invocherete, verrete a pregarmi e io vi esaudirò. 13 Voi mi cercherete e mi troverete, perché mi cercherete con tutto il vostro cuore; 14 Io mi lascerò trovare da voi”, dice l’Eterno; “vi farò tornare dalla vostra prigionia; vi raccoglierò da tutte le nazioni e da tutti i luoghi dove vi ho cacciati”, dice l’Eterno; “vi ricondurrò nel luogo da cui vi ho fatti deportare”.

S’era già stabilito, quando fu fondato il Tempio di Gerusalemme, ciò che segue:

1Re 8:38 Ogni preghiera, ogni supplica che ti sarà rivolta da qualsiasi individuo o da tutto il tuo popolo d’Israele, che riconoscerà la piaga del proprio cuore e stenderà le mani verso questa casa, 39 tu esaudiscila dal cielo, dal luogo della tua dimora, e perdona; agisci e rendi a ciascuno secondo le sue vie, tu, che conosci il cuore di ognuno; perché tu solo conosci il cuore di tutti i figli degli uomini; 46 Quando peccheranno contro di te, poiché non c’è uomo che non pecchi, e ti sarai sdegnato contro di loro e li avrai abbandonati in balìa del nemico che li deporterà in un paese ostile, lontano o vicino, 47 se, nel paese dove saranno schiavi, rientrano in sé stessi, se tornano a te e ti rivolgono suppliche, nel paese di quelli che li hanno deportati, e dicono: “Abbiamo peccato, abbiamo agito da empi, siamo stati malvagi”; 48 se tornano a te con tutto il cuore e con tutta l’anima nel paese dei loro nemici, che li hanno deportati, e ti pregano rivolti al loro paese, il paese che tu desti ai loro padri, alla città che tu hai scelta e alla casa che io ho costruita al tuo nome, 49 esaudisci dal cielo, dal luogo della tua dimora, le loro preghiere e le loro suppliche, e rendi loro giustizia. ; 50 Perdona al tuo popolo, che ha peccato contro di te, tutte le trasgressioni di cui si è reso colpevole verso di te, e muovi a pietà per essi quelli che li hanno deportati, affinché abbiano misericordia di loro; 51 poiché essi sono il tuo popolo, la tua eredità, che tu hai fatto uscire dall’Egitto, da una fornace per il ferro!

E prima di questo, la Torah aveva già stabilito lo stesso:

Deuteronomio 4:27 L’Eterno vi disperderà fra i popoli e solo un piccolo numero di voi sopravviverà in mezzo alle nazioni dove l’Eterno vi condurrà. 29 Ma di là cercherai l’Eterno, il tuo Elohim, e lo troverai, se lo cercherai con tutto il tuo cuore e con tutta l’anima tua. 30 Nella tua angoscia, quando tutte queste cose ti saranno accadute, negli ultimi tempi, tornerai all’Eterno, al tuo Elohim, e darai ascolto alla sua voce; 31 poiché l’Eterno, il tuo Elohim, è un Elohim misericordioso; egli non ti abbandonerà e non ti distruggerà, non dimenticherà il patto che giurò ai tuoi padri.

Come possiamo vedere, Elohim richiede solo il pentimento, non il sacrificio, per perdonare. Tra i prigionieri di Yehuda in Babilonia c’erano anche Profeti, per esempio:

• Ezechiele e Daniele

Entrambi sono morti in esilio, non potettero mai ritornare, né offrire alcun sacrificio. Come sono stati redenti? Solo attraverso la loro devozione a Elohim, niente di più.
In realtà il sistema sacrificale così com’era stato istituito da Mosè non cessò con la distruzione del secondo Tempio, ma con quella del primo. Nel secondo Tempio i sacrifici avevano un carattere più simbolico e meno vincolante. Tuttavia, le Scritture spiegano chiaramente che il sacrificio di sangue non è essenziale per il perdono dei peccati, ma il pentimento, la “teshuvah”, la conversione, la decisione sincera di cambiare atteggiamento. Per concludere, daremo alcune altre citazioni bibliche che supportano questa verità:

2Cronache 7:14 Se il mio popolo, sul quale è invocato il mio nome, si umilia, prega, cerca la mia faccia e si converte dalle sue vie malvagie, io lo esaudirò dal cielo, gli perdonerò i suoi peccati, e guarirò il suo paese.

1Samuel 15:22 Samuele disse: “L’Eterno gradisce forse gli olocausti e i sacrifici quanto l’ubbidire alla sua voce? No, l’ubbidire è meglio del sacrificio, dare ascolto vale più che il grasso dei montoni”;

Isaia 55:7 Lasci l’empio la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri; si converta egli all’Eterno che avrà pietà di lui, al nostro Elohim che non si stanca di perdonare.

Michea 6:6 Con che cosa verrò in presenza dell’Eterno e mi inchinerò davanti al Elohim eccelso? Verrò in sua presenza con olocausti, con vitelli di un anno? 7 Gradirà l’Eterno le migliaia di montoni, le miriadi di fiumi d’olio? Dovrò offrire il mio primogenito per la mia trasgressione, il frutto delle mie viscere per il mio peccato? 8 O uomo, egli ti ha fatto conoscere ciò che è bene; che altro richiede da te l’Eterno, se non che tu pratichi la giustizia, che tu ami la misericordia e cammini umilmente con il tuo Elohim?


Il Profeta Osea ci dice anche che la confessione e la lode sono “vitelli” offerti con le labbra:

Osea 14:1 O Israele, torna all’Eterno, al tuo Elohim, poiché tu sei caduto per la tua iniquità. 2 Preparatevi delle parole e tornate all’Eterno! Ditegli: “Perdona tutta l’iniquità e accetta questo bene; noi ti offriremo, invece di tori, l’offerta di lode delle nostre labbra”.

Mosè pregò per il popolo, quando Elohim voleva distruggerlo, e solo per la sua intercessione ottenne il perdono, senza offrire alcun sacrificio:

Numeri 14:19 “Perdona, ti prego, l’iniquità di questo popolo, secondo la grandezza della tua bontà, come hai perdonato a questo popolo dall’Egitto fin qui”. 20 L’Eterno disse: “Io perdono, come tu hai chiesto”.

Ci sono molti altri passi biblici che potrebbero essere citati, ma riteniamo che quanto detto è sufficiente per confutare l’assioma del cristianesimo sulla redenzione solo attraverso lo spargimento di sangue. Le Scritture dimostrano il contrario. Amen!


IV

I Magi d’Oriente

Questo racconto aggiunto all’Evangelo di Matteo è non poco imbarazzante per coloro che cercano di spiegare come sia possibile che degli astrologi, disciplina condannata secondo le Scritture, sono stati i primi ad adorare Yeshua e riconoscerlo come re. In genere gli apologisti cristiani cercano d’aggirare questa situazione distogliendo l’attenzione altrove, attribuendo a questo presunto evento un carattere profetico –che il Messia sarebbe stato riconosciuto dai Gentili– e cercano di spiegare che la parola “magi” non vuol dire maghi ma qualcos’altro. Prima di entrare in questo argomento è necessario conoscere alcuni aspetti del giudaismo rabbinico –che è sorto in Babilonia– che sono essenziali per capire l’origine di questa storia. Partiamo dal fatto che questo è uno dei tanti miti che sono stati incorporati nella tradizione ebraica dopo il ritorno da Babilonia –che è quando il giudaismo è stato definito ed ha iniziato la sua esistenza–, piuttosto che un evento reale (parleremo delle contraddizioni in seguito). D’altronde, il mito è ammissibile nele Scritture sacre se si propone di trasmettere un messaggio. Ci sono molti più miti nel Talmud, anch d’origine gentile come lo è la storia dei Magi, e nei libri apocrifi e pseudo-epigrafici precedenti e successivi al Nuovo Testamento.
Vediamo, a modo di breve introduzione, alcuni dati importanti. Studiando attentamente il TaNaKh possiamo notare una differenza tra gli Scritti di prima della deportazione in Babilonia e quelli che sono stati prodotti a partire da quel momento: ci sono diversi nuovi concetti che non si trovano nella Torah né nei Profeti precedenti esilio, così come ci sono evidenti differenze tra i Libri dei Re e delle Cronache anche quando entrambi narrano nella maggior parte gli stessi fatti. Questo è dovuto a che, per quanto non lo si voglia ammettere, c’è un’influenza dello zoroastrismo che si è introdotta nella formazione del giudaismo e poi del cristianesimo. Molti dei concetti che sono ormai considerati puramente giudaici sono in realtà estranei alla Scrittura e non avendo fondamento biblico li si giustifica come insegnamenti della “Torah Orale”, che deriva dall’interazione tra gli esuli Giudei in Babilonia ed i seguaci di Zardusht –Zarathustra, o Zoroastro–. Ad esempio, osserviamo che nella Torah ed i Profeti anteriori gli angeli sono menzionati di rado ed in tutti i casi sono sempre anonimi, eccetto il misterioso “Angelo di YHVH” e l’“Angelo della morte”. È nel libro di Daniel che troviamo per prima volta angeli ai quali sono dati nomi (Daniel 8:6; 9:21; 10:13,21; 12:3). Successivamente, abbondano nella letteratura ebraica nomi e schiere di esseri celesti e si manifesta molto più esplicitamente l’esistenza di angeli ribelli, i principi del male ed oppositori di Elohim –concetto ora cristiano, ma in origine appartenente al giudaismo fino ai primi secoli dell’Era Comune–. Allo stesso modo la letteratura apocalittica è stata sviluppata nel periodo del Secondo Tempio. Anche le esagerazioni nell’applicazione delle leggi della Torah presenti nel giudaismo provengono dal zoroastrismo, che aveva precetti simili, ma più rigorosi – quelli che ora sono considerati “Torah Orale”, perché non sono scritti nella Torah ed in qualche modo bisogna giustificarli. In un’altra occasione parleremo di questo argomento, che non è attinenete all’argomento in oggetto in questo articolo.
Per quanto riguarda il significato della parola “magi” è specifico e si riferisce ai sacerdoti del culto avestico –cioè, di Zoroastro– e per estensione, in greco il termine si applica generalmente ad occultisti, indovini e ciarlatani. Se qualcuno gli attribuisce un altro significato che non sia simile a questo, manca alla verità. In riferimento particolare a questi di Matteo 2, in italiano si usa il plurale “magi” anziché “maghi”, che sarebbe la parola corretta, per distinguerli e forse allo scopo di dissociare questi personaggi dagli altri che praticavano lo stesso mestiere. Tuttavia, nel testo greco non c’è alcuna differenza tra questi e gli altri maghi citati in Atti 8:9; 13:6,8 – in tutti questi testi, la parola greca è μάγος (singolare), μάγοι (plurale). Questo conflitto trovò anche il traduttore della KJV, che scrisse “wise men”, ovvero, “saggi”... i maghi possono essere saggi o stolti, non è rilevante, il fatto è che si tratta di maghi e non di saggi, e si deve tradurre correttamente e non secondo opinioni o sentimenti incontrati.
La religione avestica aveva grande somiglianza con il giudaismo mistico degli esseni, e molti concetti espressi in un linguaggio simile. Dal momento che nel zoroastrismo non sono necessari i templi, è probabile che gli esuli Giudei, trovandosi senza il Tempio, abbiano ricorso a cercare una forma di culto prendendolo come esempio, dato che tutte le altre religioni richiedevano templi.
Non c’è dubbio che la storia dei Magi d’Oriente è coerente con il giudaismo del tempo, nella cui letteratura gli anacronismi (cfr. Judit) ed elementi magici e pagani (cfr. Tobia) sono comuni, e quindi attribuire un’origine puramente gentile a questo racconto è anche sbagliato, perché, anche se i primi due capitoli di Matteo sono stati aggiunti probabilmente da copisti gentili, la storia stessa proviene da una fonte giudaica.
Lasceremo da parte le speculazioni circa la stella, se si trattava di una congiunzione planetaria, una supernova o qualche altro segno celeste, poiché, come abbiamo detto, la storia stessa è un mito e, pertanto, non ha utilità determinare la natura del fenomeno astronomico visto dai Magi. Né ha alcuna relazione con la “profezia” di Numeri 24:16-17 Così dice colui che ode le parole di Elohim, che conosce la scienza dell’Altissimo, che contempla la visione dell’Onnipotente, colui che si prostra e a cui si aprono gli occhi: Lo vedo, ma non ora; lo contemplo, ma non vicino: un astro sorge da Giacobbe, e uno scettro si eleva da Israele... Inoltre non è opportuno fare riferimento a questo oracolo come un’allusione al Messia, poiché è stato dato proprio da un mago, l’indovino Bal’am ben-Be’or – che è stato anche proposto come candidato ad essere identificato con lo stesso Zoroastro in base a determinate caratteristiche, e tale affinità genera ancora più speculazione sull’identità dei Magi ed il loro interesse per la nascita di un Messia.
Altri fattori che dimostrano il carattere leggendario del racconto sono gli anacronismi. Abbiamo visto in un altro studio che la nascita di Yeshua non può essere accaduta durante il regno di Erode I, ma tenendo conto dei dati più accurati relativi alle date che dà Luca, è avvenuta pochi anni dopo la morte di quell’Erode. Inoltre, Luca indica chiaramente che Miryam e Yosef erano abitanti di Nazareth e che in quel momento sono andati a Bethlehem a causa del censimento – tuttavia, la vera ragione doveva essere la solennità di Sukkot, che spiega anche la nascita in una sukkah (capanna rudimentale costruita per celebrare quella festività).
Luca 1:26-27 Al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Elohim in una città di Galilea, chiamata Nazaret, ad una vergine fidanzata a un uomo chiamato Yosef, della casa di Davide; e il nome della vergine era Miryam.
È chiaramente stabilito che la loro residenza era a Nazaret di Galilea. Dopo essere stato circonciso all’età di otto giorni (2:21) ed essere stato presentato nel Tempio dopo aver completato la purificazione di Miryam (2:22), che doveva essere a 40 giorni dopo la nascita, essi sono tornati alla loro città, Nazareth, dove loro vivevano e dove Yosef lavorava. Ed ogni anno salivano a Gerusalemme per celebrare Pesach (2:41). Nel racconto di Matteo la storia è completamente diversa: i Magi trovarono il bambino “nella casa” (Matteo 2:11), vale a dire, Yosef e Miryam sarebbero cittadini di Bethlehem e non di Nazareth, ed in base alle informazioni che avevano i Magi, il bambino avrebbe già circa due anni d’età quando essi sono arrivati (2:16). Ovviamente, la storia dei Magi non ha posto nella realtà dei fatti. Oltre a questo, è seguita da una presunta fuga in Egitto, e ciò implica la violazione di un precetto: ogni offerta destinata ad essere sacrificata al Signore, sia persona, animale o vegetale, non può mai uscire dalla Terra d’Israele (vedi Aqedat Yitzhak).
In conclusione, è ragionevole accettare che questo racconto è un’aggiunta di carattere leggendario e non appartiene all’Evangelo originale. Ciò non toglie nulla alla fede, né i cristiani perderanno la salvezza per non credere più nei Magi.


V

Luca era Giudeo

Generalmente i cristiani credono che Luca era un gentile, perché così gli è stato erroneamente insegnato. L’evidenza biblica mostra che Luca era Giudeo, e molto probabilmente Levita, forse anche uno dei sadducei. Gli argomenti a sostegno della teoria che si trattava di un gentile mancano di solidità, come vedremo di seguito.
• Colossesi 4:10-11 “Vi salutano Aristarco, mio compagno di prigionia, Marco, il cugino di Barnaba (a proposito del quale avete ricevuto istruzioni; se viene da voi, accoglietelo), e Yeshua, detto Giusto. Questi provengono dalla circoncisione, e sono gli unici che collaborano con me per il regno di Elohim, e che mi sono stati di conforto”. Questo è il passaggio principale menzionato da coloro che postulano la teoria che Luca era un gentile, perché egli è nominato dopo, in 4:14, e non tra questi tre i quali sono “della circoncisione”. Questo argomento è fallace perché questi tre sono anche nominati come “gli unici che collaborano per il regno di Elohim”, per cui questo indica pure che Luca non lo era. Tra i compagni di Shaul c’erano Giudei e gentili, e c’erano collaboratori per il “regno” –cioè, nell’opera della predicazione– ed altri che svolgevano altre funzioni (1Corinzi 12:13-22). Non si trova in nessun passaggio biblico che Luca sia stato attivo nella predicazione. Egli era lo scrittore e medico personale di Shaul, e non un assistente nel ministero pastorale.
Anche il termine “della circoncisione” (che è la traduzione letterale corretta) è ambiguo: anche se può riferirsi ai Giudei, è più probabile che abbia a che fare con una delle due posizioni esistenti in quel momento: coloro che sostenevano che i gentili dovevano essere circoncisi –tra i quali gliApostoli a Gerusalemme– e quelli che non lo credevano necessario, come lo stesso Shaul, e questa espressione potrebbe suggerire che anche tra i collaboratori di Shaul c’erano alcuni che appartenevano all’altra corrente di pensiero e tuttavia erano con lui. Di fatto, non si usava il termine “della circoncisione” come sinonimo di Giudeo.
• Il nome Luca è greco: Questo argomento è ancora più insignificante, dal momento che anche Aristarco e Marco, che erano “della circoncisione” sono nomi greci; due dei dodici Apostoli, Andreas e Filippos sono chiamati anche con nomi greci, e dei sette diaconi menzionati in Atti 6:5, vale a dire Stefano, Filippo, Procoro, Nicanore, Timone, Parmena e Nicola, solo quest’ultimo era un proselito, gli altri erano Giudei e tutti avevano nomi greci. Era normale che i Giudei avessero due nomi, uno ebraico ed uno gentile, come lo stesso Shaul, quando si presentava ai gentili era chiamato Paolo.
• Era un eccellente scrittore in lingua greca: Questo non preclude che sia stato Giudeo. Era un medico, una persona di cultura, per cui ha avuto accesso ad istruzione superiore.
Non ci sono altri argomenti proposti da coloro che teorizzano che Luca era un gentile; inoltre, quest’idea contraddice la stessa dichiarazione Shaul nella Lettera ai Romani 3:1-2 “Qual è dunque il vantaggio del Giudeo? Qual è l’utilità della circoncisione? Grande in ogni senso. Prima di tutto, perché a loro furono affidate le rivelazioni di Elohim”. Cioè, Shaul riconosce che la Parola è stata affidata solo ai Giudei.
Passiamo ora a considerare le evidenze che Luca era Giudeo:
• Luca era l’incaricato di registrare gli eventi accaduti a Shaul nei suoi viaggi, e spesso l’ha accompagnato a Gerusalemme, come lo stesso Luca racconta in prima persona. Nell’ultimo viaggio di Shaul a questa città, egli fu accusato dai Giudei d’aver fatto entrare gentili nel Tempio, che era un reato grave, perché Shaul era stato visto in città con Trofimo, che era Greco – “Infatti, prima avevano veduto Trofimo di Efeso in città con Paolo, e pensavano che egli lo avesse condotto nel Tempio” (Atti 21:29). Luca era già stato visto più volte con Shaul, ma questo non scandalizzò i Giudei. Luca conosceva anche i dettagli del Tempio, come dimostrato nel suo Evangelo, e ciò indica che egli ne aveva accesso. Quindi, Luca era decisamente Giudeo.
• Luca nel suo Evangelo descrive l’ordine di rotazione dei kohanim secondo le loro famiglie (Luca 1:8-23), cosa che solo un Levita poteva conoscere in dettaglio, e non era assolutamente alla portata dei gentili poter conoscere questi particolari. Non era possibile indagare come un osservatore esterno.
• L’Evangelo di Luca contiene forti indizi d’essere stato indirizzato ad un sadduceo, ed il destinatario Teofilo può essere identificato con l’ultimo Kohen Gadol, Mattatia ben-Teofilo, che fu deposto all’inizio della Prima Guerra Giudaica nel 66 CE. Luca stesso potrebbe essere stato un sadduceo, dal momento che i sadducei erano economicamente benestanti e potevano permettersi studi superiori, ed erano anche favorevoli all’ellenismo, per cui sarebbe un ottimo mediatore culturale come compagno di Shaul anche senza essere parte del ministero.
Infine, a titolo marginale possiamo citare il Codex Bezae Cantabrigiensis (una delle più antiche edizioni della Bibbia di cui disponiamo oggi) traduce Atti 13:14 come segue: ““Essendo entrati nella sinagoga, quella nostra, nel giorno del precetto sabatico, si sedettero”, implicando che questa era la sinagoga alla quale Luca apparteneva.


VI

Chi ha commesso questi errori?

Abbiamo apena detto che Luca era Giudeo e l’abbiamo dimostrato. Ora un Giudeo potrebbe dirci altrimenti, perché ci sono evidenti errori sia nel suo Evangelo che nel Libro degli Atti, errori che un Giudeo non poteva aver commesso. Non dimenticate che i testi del Nuovo Testamento che ci sono giunti sono traduzioni e in alcuni passaggi ci sono revisioni ed interpolazioni di copisti gentili. Così come i primi due capitoli di Matteo sono ovviamente un’aggiunta posteriore, ci sono anche passaggi di Luca che sono stati aggiunti da copisti cristiani gentili. Se da un lato ci sono degli errori che un Giudeo non avrebbero potuto commettere, dall’altro ci sono dettagli che un gentile non poteva sapere.
Per quanto riguarda l’Evangelo, sappiamo che in origine c’era un testo ebraico da cui emersero i sinottici, ed i racconti della nascita di Yeshua non appartengono ad esso, ma sono stati aggiunti molto più tardi. Se fosse Luca chi ha introdotto nell’Evangelo che porta il suo nome alcune sequenze relative alle nascite di Yeshua e Yohanan, ci sono altre che provengono da copisti successivi.
Vedremo ora i passaggi che sollevano perplessità e cercheremo di spiegare quello che plausibilmente è successo.

• In Luca 1:27 dice “una vergine fidanzata”, ed in 2:5 dice, “sua sposa”. Il testo greco suggerisce che Miryam era fidanzata con Yosef, ma non si erano ancora sposati. Tuttavia, Yosef viaggia con lei a Bethlehem. Questo crea un conflitto culturale che è inimmaginabile per un gentile occidentale che non si sia accorto delle implicazioni che porta questo fatto. Nella legge ebraica ci sono due istanze nuziali: il fidanzamento, denominato “erusin”, ed il matrimonio vero e proprio, chiamato “nissuin”. Il primo è una promessa vincolante, vale a dire, una volta celebrato i fidanzati non possono avvicinarsi ad un’altra persona, come se fossero già sposati, ma a sua volta non possono vivere insieme o rimanere da soli in nessun momento, perché non lo sono di fatto. Quindi, se Yosef e Miryam sono andati insieme a Bethlehem è perché erano marito e moglie, non solo fidanzati. Nel primo passaggio, se è originale, l’angelo annuncia a Miryam che ella avrebbe avuto un figlio quando era ancora la sposa, non la moglie di Yosef, ma nel secondo passaggio quando essi viaggiano insieme, dovevano essere già sposati. Non c’è alternativa a questa possibilità. (vedi sopra: “Il Messia, figlio di David”).
• Il censimento citato in Luca 2:1-4 non corrisponde ad una procedura verificabile ed è un’aggiunta di alcuni copisti che avevano bisogno di un motivo per giustificare il viaggio, dal momento che lo scrittore non l’aveva menzionato. In primo luogo, il censimento ai tempi di Quirinio fu nell’anno 6 CE, che è incompatibile con i dati cronologici indicati in Luca 3:1. Inoltre, non è questo il modo in cui i Romani facevano i censimenti, e non avrebbe senso che tutti lasciassero la loro residenza abituale per andare a registrarsi altrove. Uno spostamento di questa portata sarebbe stata anche un’opportunità per gli avversari dell’Impero, in particolare i Parti, per attaccare approfittando che le truppe romane sarebbero impegnate a mantenere l’ordine interno. È più plausibile che Yosef e Miryam, che erano già sposati, siano andati a celebrare il Sukkot a Gerusalemme e trovandosi a Bethlehem, che è possibile in quanto a causa della moltitudine molti sarebbero alloggiati nei dintorni della città, Yeshua sia nato nella sukkah costruita in occasione di tale solennità. Il tentativo di spogliare il racconto dell’ Evangelista del carattere ebraico del momento, e la teologia che si è sviluppata in seguito tra i cristiani gentili, hanno prodotto la forma del testo che abbiamo oggi.

Mentre i dettagli di cui sopra possono passare inosservati per la grande maggioranza dei cristiani, perché non conoscono l’usanza ebraica del tempo, il brano seguente è facile da confrontare con le Scritture stesse:

Atti 7:15-16 Giacobbe discese in Egitto, dove morirono lui e i nostri padri; poi furono trasportati a Sichêm, e deposti nel sepolcro che Abraam aveva comprato con una somma di denaro dai figli di Hamor in Sichêm.

Vediamo l’origine di questa storia nelle Scritture Ebraiche:

Genesi 23:16 Abraam diede ascolto a Efron e gli pesò il prezzo che egli aveva detto in presenza dei figli di Chet: quattrocento sicli d’argento, di buona moneta corrente sul mercato. 17 Così il campo di Efron, che era a Macpela di fronte a Mamre, il campo con la grotta che vi si trovava, tutti gli alberi che erano nel campo e in tutti i confini all’intorno, 18 furono assicurati come proprietà d’Abraam, in presenza dei figli di Chet e di tutti quelli che entravano per la porta della città di Efron. 19 Subito dopo, Abraam seppellì sua moglie Sara nella grotta del campo di Macpela di fronte a Mamre, cioè Hebron, nel paese di Canaan. 20 Il campo e la grotta che vi si trova, furono assicurati ad Abraam, dai figli di Chet, come sepolcro di sua proprietà.
49:29 Poi [Giacobbe] diede loro i suoi ordini e disse: “Io sto per essere riunito al mio popolo. Seppellitemi con i miei padri nella grotta che è nel campo di Efron l’Ittita, 30 nella grotta che è nel campo di Macpela, di fronte a Mamre, nel paese di Canaan, la quale Abraam comprò, con il campo, da Efron l’Ittita, come sepolcro di sua proprietà. 31 Qui furono sepolti Abraam e sua moglie Sara; furono sepolti Isacco e Rebecca sua moglie, e qui io seppellii Lea. 32 Il campo e la grotta che vi si trova furono comprati presso i figli di Chet”.
50:12 I figli di Giacobbe fecero per lui quello che egli aveva ordinato loro: 13 lo trasportarono nel paese di Canaan e lo seppellirono nella grotta del campo di Macpela, che Abraam aveva comprato, con il campo, da Efron l’Ittita, come sepolcro di sua proprietà, di fronte a Mamre. 14 Yosef, dopo aver sepolto suo padre, tornò in Egitto con i suoi fratelli e con tutti quelli che erano saliti con lui a seppellire suo padre.

Genesi 33:18 Poi Giacobbe, tornando da Paddan-Aram, arrivò sano e salvo alla città di Sichem, nel paese di Canaan, e piantò le tende di fronte alla città. 19 Per cento pezzi di denaro, comprò dai figli di Hamor, padre di Sichem, la parte del campo dove aveva piantato le sue tende.

Giosuè 24:32 E le ossa di Yosef, che i figli d’Israele avevano portate dall’Egitto, essi le seppellirono a Sichem, nella parte del campo che Giacobbe aveva comprato dai figli di Hamor, padre di Sichem, per cento pezzi di denaro; e i figli di Yosef le avevano ricevute come eredità.


Comprendiamo chiaramente quanto segue:
• Avraham comprò il campo di Macpelah, a Hevron, a Efron l’Ittita (Hevron si trova a sud di Gerusalemme).
• Yakov acquistò una tenuta in Shechem a Hamor l’Hivveo (Shechem è a nord di Gerusalemme).
• In Machpelah, Hevron, furono sepolti Avraham, Yitzhak, Yakov, Sara, Rivka e Lea.
• In Shechem fu sepolto Yosef.
Leggiamo ancora una volta il testo del discorso di Stefano, e confrontiamo:

Atti 7:15 Giacobbe discese in Egitto, dove morirono lui e i nostri padri; 16 poi furono trasportati a Sichêm, e deposti nel sepolcro che Abraam aveva comprato con una somma di denaro dai figli di Hamor in Sichêm.

In questo passo ci sono tre errori:
1 – Avraham avrebbe comprato una tomba in Sichem (non fu in Sichem ma in Hebron – chi comprò una tomba in Sichem fu Yakov, non Avraham)
2 – Avraham avrebbe comprato una tomba a Hamor (non fu a Hamor ma ad Efron – chi comprò una tomba a Hamor fu Yakov, non Avraham)
3 – Yakov sarebbe stato sepolto in Shechem (non fu in Shechem ma in Hevron)

Ovviamente, non esiste modo alcuno per nessun inerrantista di poter spiegare questo passaggio nemmeno ricorrendi ai migliori sotterfugi. La cosa più ragionevole è ammettere che ci fu un errore umano. Possiamo concedere che lo scrittore ha reso correttamente quello che l’oratore ha detto, e che fu l’oratore ad aver sbagliato. Sarebbe più grave che fosse lo scrittore chi ha riportato in modo sbagliato quello che l’oratore ha detto. Una terza possibilità è che sia stato un copista ad errare, confondendo Ephron con Hamor e Hebron con Sichem.
Tuttavia, non c’è molto da allarmarsi se qualcuno usa questo errore evidente allo scopo di screditare il Nuovo Testamento (che è stato scritto interamente da Giudei), dal momento che errori molto più gravi ed assurdi sono scritti nel Talmud. Anche all’interno del TaNaKh ci sono discrepanze tra Samuel/Re e Cronache in più di un episodio – per esempio, l’età di Shaul in 1Samuel 13:1 o quella d’Achaziah in 2Cronache 22:2 (vedi: “Discordanze Testuali”), o Baasha attaccando Yehuda nell’anno 36 di Asa (2Cronache 16:1) essendo che Baasa era già morto dieci anni fa, nell’anno 26 di Asa (1Re 16:8). Per quest’ultimo errore non vi è alcuna spiegazione coerente, anche se molti hanno cercato di forzare in qualche modo l’interpretazione del testo, escogitando delle ipotesi alquanto infondate (vedi prossima pagina: “Errori Storici”).


VII

Si contraddicono Luca e Paolo?

Ci sono coloro che accanitamente cercano degli errori, e segnalano un’apparente contraddizione tra i racconti di Luca e Saulo riguardante l’esperienza di quest’ultimo sulla via di Damasco (la cosiddetta “Conversione di Saulo”). La presunta contraddizione si trova nei seguenti passaggi:

Atti 9:19 E, dopo aver preso cibo, gli ritornarono le forze. Rimase alcuni giorni insieme ai discepoli che erano a Damasco, 20 e si mise subito a predicare nelle sinagoghe che Yeshua è il Figlio di Elohim. 21 Tutti quelli che lo ascoltavano si meravigliavano e dicevano: “Ma costui non è quel tale che a Gerusalemme infieriva contro quelli che invocano questo nome ed era venuto qua con lo scopo di condurli incatenati ai capi dei sacerdoti?” 22 Ma Saulo si fortificava sempre di più e confondeva i Giudei residenti a Damasco, dimostrando che Yeshua è il Messia.

Galati 1:17 Né salii a Gerusalemme da quelli che erano stati apostoli prima di me, ma me ne andai subito in Arabia; quindi ritornai a Damasco. 18 Poi, dopo tre anni, salii a Gerusalemme per visitare Cefa e stetti da lui quindici giorni; 19 e non vidi nessun altro degli apostoli; ma solo Giacomo, il fratello del Signore. 20 Ora, riguardo a ciò che vi scrivo, ecco, vi dichiaro, davanti a Elohim, che non mento. 21 Poi andai nelle regioni della Siria e della Cilicia; 22 ma ero sconosciuto personalmente alle chiese di Giudea, che sono nel Messia; 23 esse sentivano soltanto dire: “Colui che una volta ci perseguitava, ora predica la fede, che nel passato cercava di distruggere”.


Nel suo racconto, Luca dice che Saulo “rimase alcuni giorni insieme ai discepoli che erano a Damasco, e si mise subito a predicare nelle sinagoghe che Yeshua è il Messia”. Saulo a sua volta dice: “me ne andai subito in Arabia; quindi ritornai a Damasco. Poi, dopo tre anni, salii a Gerusalemme”.
È davvero molto stupida la presunzione di errore o di incoerenza tra i due racconti. Luca semplicemente abbrevia omettendo il viaggio di Saulo in Arabia, perché non lo considera rilevante non avendo alcuno scopo apparente nel ministero. Per quanto riguarda l’espressione “rimase alcuni giorni insieme ai discepoli che erano a Damasco, e si mise subito a predicare nelle sinagoghe che Yeshua è il Messia”, non specifica se questo fu prima o dopo il suo viaggio in Arabia –di cui non fa menzione–, anche se si può capire che fu dopo, perché poi “confondeva i Giudei residenti a Damasco, dimostrando che Yeshua è il Messia”, quindi, si fermò per molto tempo a Damasco, e nulla impedisce tale periodo sia durato tre anni, come Saulo afferma, prima di salire a Gerusalemme. Infatti, nel racconto di Luca non dice che Saulo sia stato in Gerusalemme sino a 9:26 “Quando fu giunto a Gerusalemme, tentava di unirsi ai discepoli; ma tutti avevano paura di lui, non credendo che fosse un discepolo”.

Un’altra questione riguardante questo evento è che Saul avesse molto interesse ad avviare la persecuzione a Damasco, e chiedesse al kohen gadol di Gerusalemme lettere d’autorizzazione per arrestare e portare a Gerusalemme chiunque trovasse tra i seguaci di Yeshua nelle sinagoghe di quel luogo, come si legge in Atti 9:1-2 “Saulo, sempre spirante minacce e stragi contro i discepoli del Signore, si presentò al sommo sacerdote, e gli chiese delle lettere per le sinagoghe di Damasco affinché, se avesse trovato dei seguaci della Via, uomini e donne, li potesse condurre legati a Gerusalemme”.
Naturalmente, in una prima lettura si dà per scontato che si tratta di Damasco in Siria. Tuttavia, ci sarebbero diverse difficoltà rispetto a tale identificazione: in primo luogo, il kohen gadol non aveva alcuna autorità per inviare ad arrestare nessuno che fosse in Siria, provincia che era sotto un’altra giurisdizione, quella del re Areta, e neanche il governo politico della Giudea aveva tale potere – né interesse in arrestare qualcuno per questioni che riguardavano esclusivamente ai Giudei. Inoltre, condurre dei prigionieri da Damasco in Siria fino a Gerusalemme non sarebbe stato un compito semplice, si dovevano attraversare confini delle province che erano sotto altri governanti, tra altri inconvenienti.
Osservando con attenzione gli scritti di Luca e Saulo, vediamo che in nessun momento Damasco è associata a Siria. Saulo ci dice che, essendo stato a Damasco e dopo a Gerusalemme “poi andai nelle regioni della Siria e della Cilicia” (Galati 1:21), senza stabilire alcun collegamento tra Damasco e Siria, che nelle sue epistole è piuttosto associata ad Antiochia, ed è menzionata con la vicina provincia di Cilicia (Atti 15:23). Solo una volta la Damasco di Siria è specificamente indicata, in 2Corinzi 11:32 “A Damasco, il governatore del re Areta aveva posto delle guardie nella città dei Damasceni”, non come una città della Siria, ma come “la città dei Damasceni” e “la provincia del re Areta”.
Nella sua testimonianza davanti ad Agrippa, Saulo racconta il principio della sua carriera come seguace di Yeshua come segue: “prima a quelli di Damasco, poi a Gerusalemme e per tutto il paese della Giudea e fra le nazioni, ho predicato che si ravvedano e si convertano a Elohim, facendo opere degne del ravvedimento. Per questo i Giudei, dopo avermi preso nel tempio, tentavano di uccidermi” (Atti 26:20-21). Notare l’ordine: Damasco, Gerusalemme e tutto il paese della Giudea. Ci fa capire che Damasco è vicino a Gerusalemme, ed appartiene alla stessa regione: Giudea. C’era forse un posto chiamato Damasco in Giudea? Sì, c’era. Non era insolito che ci fossero diversi posti con lo stesso nome, tanto allora come oggi. Così come c’erano varie Antiochie –in Atti se ne menzionano due, quella dell’Oronte o di Siria e quella di Pisidia, e la stessa città di Saulo, cioè Tarso, si chiamava anch’essa Antiochia del Cydnus–; c’erano varie Seleucia –in Atti 13:4 si menziona quella dell’Oronte, o di Siria, e c’era anche quella di Pisidia, e diverse altre–, così come c’erano molte Alessandria, ed anche nel TaNaKh troviamo per esempio Kadesh nel Negev e Kadesh in Galilea – e da quest’ultima proviene il nome di Kadesh in Tharsis, attuale Cadice in Spagna. Tuttavia, a quanto pare non è stato ancora possibile identificare alcun luogo chiamato Damasco in Giudea. In effetti, questo era un nome usato solo all’interno di certi ambienti giudaici, tra i quali proprio la Comunità di Qumran, che chiamava “Damasco” il loro rifugio nel deserto della Giudea, come ben spiegato nel Frammento Tzadokita o Documento di Damasco, in 9:8 “e la Stella è colui che ha studiato la Torah, che è venuto a Damasco, come à scritto: «Si leverà una stella da Yakov, e uno scettro si alzerà da Israele», lo scettro è il principe di tutta l’assemblea”, in 9:28 “Tutti quelli che sono entrati nel nuovo patto nella terra di Damasco”, in 9:37 “l’alleanza e il giuramento di fede, che fu confermato nella terra di Damasco, questo è il nuovo patto”, ecc. (Vedi “Documento di Damasco”). Chiaramente, nel linguaggio dei primi discepoli “Damasco” era la congregazione del Nuovo Patto, che si era formata tra i membri della Comunità a cui apparteneva anche Yohanan il battezzatore, ed era proprio lì dove si trovava il nucleo più forte dei discepoli di Yeshua che Saulo voleva fermare per evitare che espandessero il nuovo insegnamento. Una delle regole di questa Comunità era preparazione di ogni discepolo, che durava tre anni, il che coincide con il periodo in cui Saulo rimase a “Damasco” prima di iniziare il suo ministero. Infatti questo Damasco del Negev era confinante con la provincia romana d’Arabia, che non era la penisola dello stesso nome, ma quella del Sinai (a cui si referisce Saulo in Galati 4:25), ed in questo modo l’intera sequenza di eventi è molto più coerente: Saulo parte da Gerusalemme con le lettere per arrestare i discepoli di Yeshua in Damasco, che è l’area di Qumran in Giudea, ma prima di arrivarvi ebbe la sua esperienza mistica e poi continua il suo viaggio a destinazione, per andare dopo, non sappiamo per quale motivo, alla vicina Arabia nel Sinai, e ritorna per seguire il suo corso di preparazione di tre anni, come previsto dal Regolamento della Comunità, prima di iniziare il suo ministero con una visione completamente diversa da quella che aveva prima. Solo dopo, tra altri viaggi, visita anche Damasco in Siria.